martedì 22 luglio 2014

"L'infinito" di Leopardi. L'immaginazione nell'800


       
      
 L'INFINITO



Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
 

L'uomo dell'800 è costitutivamente infelice, in quanto è uscito dallo stato di natura. La civiltà, il progresso, l'evoluzione hanno reso l'uomo infelice. La ragione dei moderni ha chiuso ogni spazio all'immaginazione (qui Leopardi si riconosce nel romanticismo europeo - differente da quello italiano). L'uomo quindi può essere felice nel ricordo, nell'immaginazione che ormai ha la necessità di un ostacolo (la siepe). E' proprio questo limite ad accendere il bisogno dell'immaginare l'infinito, cioè di negare e superare quel limite. 

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