L'INFINITO
Sempre caro mi fu quest'ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati Spazi di là da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s'annega il pensier mio: E il naufragar m'è dolce in questo mare. |
L'uomo dell'800 è costitutivamente infelice, in quanto è uscito dallo stato di natura. La civiltà, il progresso, l'evoluzione hanno reso l'uomo infelice. La ragione dei moderni ha chiuso ogni spazio all'immaginazione (qui Leopardi si riconosce nel romanticismo europeo - differente da quello italiano). L'uomo quindi può essere felice nel ricordo, nell'immaginazione che ormai ha la necessità di un ostacolo (la siepe). E' proprio questo limite ad accendere il bisogno dell'immaginare l'infinito, cioè di negare e superare quel limite. |
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